27.10.09

Studio Uno




la ripetizione e l’ossessione, i due temi che accompagnano questo studio, rigorosamente faticoso, di una nota fiaba popolare. l’attore deve abituarsi alla perdita, deve frantumare le sue abitudini vocali, manuali e di movimento per entrare in una nuova dimensione: quella del testo.


è chiarissimo il modo di leggerlo, l’attore deve funzionare, non funzionarsi. l’olio lubrificatore è dato dal testo, abbondante in consonanti e generoso di vocali, un testo che distrugge, sfianca, disabilita. abituiamo il corpo alla musica strutturalizzante e ripetitiva di Steve Reich, poi gli diamo silenzio, vocali, consonanti e Lui reagisce a malapena ma rendendosi conto pienamente della sua memoria, delle sue impossibilità. è uno stato che può durare un secondo, meno, ma ci fa sperare.


basiamo tutte le nostre speranze su un soffio di fiato, un gesto colto di sorpresa. è questo che stiamo cercando ed abbiamo trovato nei due piccoli protagonisti
(Hansel e Gretel, sono loro i protagonisti)
una possibilità immensa.


quella che facciamo è solo ricerca e vogliamo farla in modo scientifico, rigoroso appunto.
non essere contenti mai: degli attori (troppo presenti), delle parole (macigni), delle atmosfere. una ricerca limpida, che segue il testo come un bambino che sta imparando a leggere.


tutto nasce per gioco estraendo dal testo tutti gli elementi necessari, non una parola in più, e parole significano cose: suoni, movimenti e materiali. è difficile fare pulizia totale ma il limite della nostra capacità diviene anch’esso motivo di ricerca. imparare a fare teatro, lo si dovrebbe fare più spesso.


“Dobbiamo uscire dal bosco della strega”.


per essere ancora una volta nell’involucro.


è pericoloso, buio, freddo o troppo caldo. è chiaro e poi scuro, dolce e subito salato.


un gioco estremo, fuori da ogni immaginazione. la lingua ricca di vocali si contrappone e lotta contro una lingua dura, orribile, dura. tutta qui è l’avventura di Hansel e Gretel coi sassi e le molliche fino alle bianche piume di un anatrino.


bisogna portare l’attore allo stato dell’interessante e non la situazione.


bisogna che non il testo venga letto ma che si faccia esso lettore nell’attore.


il nostro maggiore desiderio è quello di non crearci uno stile. braccia, bacini, interno cosce e gomiti sono gli unici luoghi che debbono dar luogo alla parola. se proprio dobbiamo accettare che questa nasca da noi preferiamo partorirla da qui.


questo studio riflette sulla perdita. perdita vuol dire molto. soprattutto si parte dalla perdita del razionale. niente indicazioni, niente tecnica. certamente il lavoro più difficile è quello con gli attori, chiedono troppo senza capire che proprio nella risposta il teatro muore ogni volta.


lavorare ad Hansel e Gretel significa essere completamente fuori. paura e sgomento dati da perdizione e smarrimento, disorientamento. disorientare gli attori è molto difficile come del resto lo è disorientare chiunque. l’attore sensibile è un attore che ancora non viene fuori, forse è un attore che non esiste. il lavoro esplora i campi dell’ipocrisiaco e del bugiardo, i limiti invalicabili dell’arte contemporanea. sicuramente un passo lo abbiamo fatto: uno.